Aborto come un lutto

L’aborto come un lutto

Ultimo di quattro articoli sulla gravidanza. La testimonianza di una donna, una mamma, che con la sua esperienza vuole non solo raccontare la sua storia, ma essere un esempio e soprattutto un conforto, una speranza, un abbraccio virtuale per chi, come lei, ha sofferto e sta soffrendo.

Quando vedi tua figlia crescere, correre, sorridere, dimentichi ogni dolore, e così ho fatto io. Ho avuto due aborti spontanei (qui il primo e qui il secondo), poi al terzo tentativo è arrivata la mia adorata MIA. Il destino però è crudele e quello che pensi aver superato, ti si ripresenta davanti e anche a brutto muso.

A settembre 2018, dopo mesi difficili, decidiamo di provare ad allargare la famiglia. “Perché non tentare?”, ci siamo chiesti. La paura non ti lascia mai, ma tu sei più forte, vuoi illuderti che possa filare tutto liscio, e così ti butti. Ci sei riuscita una volta, perché non dovresti riuscire una seconda?

Diciamo che almeno la mia fertilità è in ottima forma, tanto che il 21 settembre, dopo sei giorni di ritardo, decido di fare il test. Una netta riga viola colora quasi subito quel piccolo sfondo bianco. Non ho dubbi, sono in dolce attesa. Chiamo subito il mio compagno: siamo felici ma preoccupati, la stessa sensazione quasi, per la quarta volta.

Quel brivido non te lo scordi, è come un tatuaggio sulla pelle, è una doccia fredda sotto il sole rovente, un calcio di rigore tirato dritto dritto in porta.

Ricomincio a fare le beta, sono più basse di Mia, ma danno speranza. Ogni sabato quel prelievo e quella risposta. Cifre numeriche a cui dai già un volto. La prima visita il 2 ottobre, il mio ginecologo vede la camera gestazionale, e l’ansia e il cuore in gola già si fanno sentire.

Il 9 ottobre, vedo quel puntino di piccoli millimetri. Qualcuno fa Cucù. La gioia nei nostri cuori, una piccola lacrima sul mio viso. Stavamo rivivendo le stesse cose che avevamo vissuto con Mia, e speravo di fare la stessa gravidanza. Il 16 ottobre sento il suo battito, ma ancora non so che quella volta, sarebbe stata la prima e ultima.

Vado via dallo studio e mi sembra di volare. Il 23 ottobre entro in maternità anticipata, decido che è giusto così, devo riposare. Faccio le prime analisi del sangue e già pensiamo al Prenatalsafe.

Io sognavo già tanto. Alla cameretta, a come avrebbe reagito Mia, stavolta avrei voluto il maschietto, e avrei voluto sapere il sesso del bimbo attraverso il colore di un pasticcino, un po’ come si usa fare in America. Il “Gender Reveal Party”, è una festa con amici e parenti per scoprire il sesso del nascituro. In America sta spopolando e anche in Italia, piace a molti. Si può scegliere la modalità che più si preferisce. Una torta, o i palloncini, o tante altre idee originali.

Il 31 ottobre però alla mia fantasia si spezzano le ali. Comincio ad avere perdite, così capisco che qualcosa non va, anzi mi preparo al peggio e mi convinco che è tutto finito così come è iniziato. Alle 22, da sola, prendo un taxi, e vado all’ospedale più vicino. Dopo aver compilato la scheda con i dati personali, la dottoressa di turno mi fa sdraiare sul lettino e con un’ecografia mi dice secca una frase, difficile da dimenticare. “Signora, il battito non c’è più”.

Solo chi se lo è sentito dire può capire. Un pugno allo stomaco. Indescrivibile. Ricordo l’infermiera che ho accanto, mi stringe forte la mano. Vado via sconfitta. Torno a casa e non dormo tutta la notte.

Il giorno dopo torno per prenotare il raschiamento, ma la sera comincio ad avere forti dolori, mi metto a letto e dormo per soli 5 minuti. Sento tra le gambe un fiume in piena. E’ arrivata un’emorragia. Sento dolori forti, così ci organizziamo e andiamo in ospedale. Mi ricoverano subito, perché non sono “pulita completamente”.

Cucù non c’è più. L’ho perso in bagno. Come qualcosa che non serve più e lo butti. Io l’ho visto muoversi, ho visto il suo cuore, ma il mio corpo ha rifiutato ancora una volta una gravidanza.

Oltre i dolori fisici, ora ci sono quelli morali. Seduta su una carrozzina mentre la dottoressa scrive, io piango. Quella notte ho trovato tanta umanità, però. Il mio compagno è tornato da Mia una volta entrata in camera, io l’ho rivista solo due giorni dopo.

Mi fanno una flebo per avere contrazioni, un dolore atroce, così dopo qualche ora chiedo un antidolorifico per dormire e riposare. La mattina dopo, la dottoressa vuole farmi la visita, ma i dolori sono forti e mi dice che se non collaboro mi deve fare il raschiamento. La guardo arrabbiata e le chiedo fortemente di farmi il raschiamento. Almeno i dolori fisici finiranno.

Mi portano in sala operatoria, e tutto è finito. Sono uscita dall’ospedale il 3 novembre. Ho avuto un giorno abbondante per pensare.

Intanto mi mancava tanto mia figlia, che è stata la mia forza in quelle ore così buie.  Senza di lei sarebbe stata così dura, invece avevo comunque una cosa bella che mi aspettava fuori. La più bella. Però mi chiedevo, e dopo tre mesi ancora lo faccio, perché? Stavolta è stata più dura accettare questo aborto, questo lutto. Io mio figlio l’ho visto. Mi dicono esserci a volte delle incompatibilità con la vita e quindi il battito si interrompe, mi aggrappo a questa spiegazione cercando di sollevare un pochino il mio dolore. Meglio ora che dopo. E se fosse nato con una malformazione? Come avrebbe vissuto? Tanti interrogativi nella testa e nessuna risposta certa. Nessuno me lo saprà mai dire. Cucù è scivolato via in acqua. Questa è una cosa che mi rattrista molto. In ospedale, avevo certato di pensare a qualcosa di bello, Natale era alle porte, quindi anche il compleanno di Mia. Così ho deciso di spendere le mie energie e giornate per lei. Ho organizzato tutto il calendario dell’Avvento che avrebbe scartato dal 1° al 24 dicembre. Ho fatto una lista e sono andata a comprare ogni regalino per lei e lo incartai. Mi ha aiutato a non pensare e a farmi star bene.

In quei giorni ho pensato anche a come aiutare le donne e le mamme che hanno vissuto i miei stessi drammi, chi più e chi meno, è sempre un grande dolore, e con le mie esperienze, dico sempre che ho avuto più gravidanze che figli, volevo capire come dar voce al grande dolore che ci portiamo dentro. Due mesi fa ho chiesto a Gloriana se potevo scrivere queste mie esperienze sul sito di Supermamma. E finalmente sono riuscita a farlo.

Credetemi, so come vi sentite. Impotenti. A me ha aiutato tanto avere Mia questa volta, ma quando lei non c’era, è stato difficile accettare il tempo vuoto attorno a me. Poi tutte ti dicono di essere incinte. Non c’è cosa peggiore. Le altre si, tu no.

Però c’ho creduto amiche mie, e ci credo tutt’ora. La luce in fondo al tunnel io la vedo. Non smetterò mai di pensare a Cucù, rimarrà nel mio cuore per tutta la vita, ma credo anche che a tutto c’è un destino. Ci sono dei giorni che vorrei piangere, ma poi mi rialzo. Ho una nanetta bionda con occhi verdi. Un dono. Vorrei avere una bacchetta magica per aiutare me e voi.

A te donna che ancora non hai avuto questo regalo, ti abbraccio forte. So cosa vuol dire. Ti auguro di realizzare il tuo desiderio più grande. Questa è la mia storia.

SuperMamma Flavia Pignataro

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